Se sei nel settore, saprai che per anni il marketing si è concentrato su tre obiettivi chiavi: efficienza, automazione, performance.
Tradotto: fare tutto, farlo bene, farlo veloce.
E il fine sembrava anche positivo… finché quel tutto non ha iniziato a suonare uguale.
Stesse palette, stesse headline, stesse grafiche levigate, stesse caption ottimizzate per l’engagement.
Nel tentativo di semplificare ed efficientare sempre di più, poi, abbiamo tolto anche quello che rende un contenuto davvero riconoscibile: il segno umano.
Oggi però, per fortuna, qualcosa sta cambiando.
Che significa? Che stiamo tornando a cercare campagne con personalità, design che “sporcano”, parole che non sembrano uscite da un template.
La creatività artigianale (e cioè quella fatta di mani, istinto, attenzione e senso del contesto) non è più nostalgica, ma necessaria e reclamata a gran voce.
Soprattutto nel B2B, dove i contenuti rischiano ogni giorno di essere scambiati per documenti interni.
In questo articolo parliamo di creatività artigianale nel B2B: vediamo come si può (e si deve) tornare a creare cose che si notano, anche usando l’AI (ma senza diventare indistinguibili da tutti gli altri!).

TL;DR (aka “Non ho voglia di leggere tutto”)
Dopo anni di automazioni e template tutti uguali, nel B2B sta tornando la voglia di creatività artigianale: segni imperfetti, design con personalità, parole che non sembrano uscite da un prompt.
L’AI è utile, ma non sa scegliere. Serve qualcuno che (le) indichi la direzione, faccia scelte coraggiose e costruisca contenuti che non sembrino la copia di mille altri.
In Larin crediamo che la creatività non sia un “abbellimento” o una voce sacrificabile, ma una leva strategica.
È ciò che permette a un brand di essere riconosciuto, ricordato. Scelto.
Per farlo, usiamo metodo, tecnologia, pensiero e istinto, insieme.
Perché la differenza si vede. Ma solo se qualcuno la costruisce.
Il ritorno dell’irregolare: perché oggi il marketing ha bisogno di segni umani
Gennaio 2026. Scrolli LinkedIn.
Post dopo post, sembra tutto fatto dalla stessa persona. Stesso layout. Stesso tono. Stesso tipo di insight, confezionato in modo perfetto, pulito, prevedibile.
Che palle!
Qua il problema non è il design. È l’assenza di attrito.
Quando ogni contenuto è levigato fino a non lasciare traccia, diventa solo un altro pezzo del rumore.
Eppure bastano un titolo sbilenco, un bordo fuori registro, un tono fuori canone per catturare l’attenzione di chi scrolla per noia, non per bisogno.
Nel B2B, dove i contenuti sono spesso rigidi, autocensurati e infarciti di tecnicismi, qualunque deviazione visiva o verbale è una possibilità, una porta per entrare nella testa di chi legge.
Non a caso crescono le campagne con design volutamente grezzo, micro-copy che rompono la grammatica, colori storti e layout asimmetrici.
Non è mica sciatteria, anzi: chiamiamola direzione creativa.

Quando il design “sporco” funziona meglio di quello perfetto
Il design perfetto rassicura. Ma non sempre genera attenzione.
Il design “sporco” (e cioè quello che osa, che rompe un pattern, che non ha paura di sembrare artigianale) funziona quando serve a veicolare un’identità, non a mascherare l’assenza di contenuto.
Lo vedi nei progetti che restano impressi. Nei brand che costruiscono fiducia non perché “sembrano seri”, ma perché sembrano vivi.
L’effetto déjà-vu (quelle maledette campagne fatte tutte con gli stessi template)
AI, Canva, tool no-code. Fermi: non sono mica da buttare. È tutto utile e fondamentale, se usato con criterio.
Il problema nasce quando l’unico criterio è quello proposto dal tool.
Che cosa ottieni in questo caso? Campagne che sembrano compilate, non pensate. E che si dimenticano alla stessa velocità con cui si guardano.
Per questo l’irregolare torna ad avere valore: perché rompe il flusso, perché non si piega alla standardizzazione. E soprattutto, perché ci ricorda che dietro un contenuto dovrebbe esserci qualcuno, non qualcosa.

AI e creatività artigianale B2B: non è una guerra, ma una questione di direzione
Mettiamo le mani avanti, come abbiamo già fatto e come faremo ancora: l’AI non è il problema. È solo un acceleratore.
Può aiutare a generare, riscrivere, ottimizzare, iterare. Ma, come tutte le macchine, non è in grado di scegliere.
Non sa dove andare, a chi parlare, cosa rischiare. Eppure è proprio qui che si gioca tutto.
Chi lavora nel marketing oggi si trova davanti a un bivio: usare l’AI per risparmiare tempo o usarla per liberare tempo, da reinvestire nella parte più difficile (e più umana) del processo: decidere.
Insomma: nel 2026 la sfida non è tecnica, ma puramente progettuale.
Cosa succede quando l’AI decide tutto al posto nostro
Succede che i contenuti si assomigliano. Che i brand iniziano a parlare allo stesso modo. Che i feed diventano monotoni, anche se formalmente perfetti.
Succede che il pensiero si spegne, e ci si accontenta del “bon, va già bene così”.
Il punto non è demonizzare gli strumenti (per caso lo abbiamo già detto?), ma capire cosa perdiamo quando li usiamo per saltare le parti faticose: quelle in cui si fa una scelta, si prende una posizione, si decide di uscire dal seminato.
Come si costruisce una creatività “assistita” ma non “appiattita”
Ripetiamo l’ovvio: oggi la differenza la fa chi scrive il prompt.
Chi imposta la strategia. Chi seleziona le varianti. Chi riconosce quando un contenuto è corretto ma inutile.
Per usare l’AI in modo sano, dunque, serve:
- un punto di vista chiaro (che l’AI non ha);
- un’idea di branding solida (che non si inventa da sola);
- una cultura del “non va bene finché non convince” (che non si accontenta del primo output).

Il ruolo dell’essere umano: dire cosa conta e perché
Il cuore del lavoro creativo, oggi più che mai, sta nel decidere cosa dire e cosa no.
Quale direzione scegliere, quale tono usare, quale dettaglio inserire per rendere un contenuto credibile, vivo, rilevante.
E oggi, per ora, la tecnologia può fare tutto, tranne questo.
Ed è esattamente qui che si misura la differenza tra un contenuto generato e un contenuto pensato.
Larin style: metodo e istinto, insieme
A noi non interessa solo fare cose belle.
Se ci conosci, lo sai: puntiamo a creare cose che funzionano, e che non possono essere replicate con un clic da chiunque.
In Larin abbiamo sempre lavorato così: da una parte c’è il pensiero, il metodo, la strategia. Dall’altra, la capacità di riconoscere quando un’idea è giusta, anche se non era prevista.
È lì che entra l’istinto. È lì che nasce la parte “artigianale” del nostro lavoro.
E specifichiamo: non è certo estro creativo lasciato al caso, ma precisione nel capire che tono usare, che ritmo scegliere, che tratto visivo rompere per rendere un contenuto vivo, riconoscibile, coerente.
Dove si innesta la creatività nel nostro approccio full-stack
Il nostro lavoro non inizia quando arriva il brief, e non finisce quando inviamo una bozza.
In mezzo c’è un sistema che ci permette di tenere insieme strategia, contenuti, design, dati, distribuzione.
La creatività non è un reparto, ma un ingrediente trasversale. È il modo in cui costruiamo senso, forma e valore dentro ogni pezzo del sistema.
L’importanza di non perdere la mano, anche nel design automatizzato
Saprai anche tu che in Larin sappiamo usare l’AI, i template, gli acceleratori. Ma precisiamo: non ci affidiamo mai a loro per la parte decisiva.
La differenza, per noi, sta nel tenere il controllo sul tono, sulla direzione, sulla coerenza con il brand.
Anche quando usiamo strumenti automatici (perché sì, lo facciamo e ne andiamo orgogliosi!), ci mettiamo la mano. E si vede.
- A volte è una parola che rompe l’aspettativa.
- A volte è un visual che sembra “fuori stile” ma dice qualcosa di vero.
- A volte è l’aver evitato l’ennesimo carosello didascalico, per provare una narrazione diversa, più ruvida, ma più umana.
Non sempre lo notano tutti. Ma chi deve notarlo loÁ nota. E spesso è proprio chi decide.

Perché la creatività artigianale è una leva strategica, non un vezzo
Di tanto in tanto, qualcuno ci dice che la creatività è la parte “bella” del progetto.
Insomma, quella che arriva alla fine, quando si è già deciso tutto.
Ci dicono che è un’aggiunta. Un abbellimento.
E noi rispondiamo sempre allo stesso modo: ma neanche per sogno.
La creatività, quella fatta con criterio, con direzione e con un’identità chiara, è un asset strategico.
È ciò che dà forma al modo in cui un brand si presenta, si distingue e resta impresso.
Soprattutto nel B2B, dove i contenuti rischiano di essere tutti uguali, la creatività è la leva che cambia il posizionamento nella testa di chi legge.
L’impatto economico di un brand riconoscibile
Un brand che si fa riconoscere prima ancora di dire cosa vende parte avvantaggiato.
È più difficile da copiare. Più facile da ricordare.
E, parlando di soldi, è più forte nella negoziazione.
Questo vale anche per chi lavora con clienti business: la memorabilità ha un impatto diretto su awareness, preferenza e pricing power.
Lo dimostrano i dati. Ma ancora prima lo dimostra la logica: scegliamo ciò che ci colpisce e ci torna in mente, non solo ciò che è tecnicamente valido.
Quando il design diventa posizionamento
Non è solo una questione estetica.
Un visual grezzo, se pensato bene, può comunicare più forza, più vicinanza, più personalità di un layout perfetto ma neutro.
Lo stesso vale per un tono di voce fuori standard (tipo il nostro). Per un ritmo narrativo inaspettato. Per una metafora che non spiega, ma fa immaginare.
Sono queste le scelte che trasformano una campagna in un posizionamento visivo e verbale.
Come la creatività “su misura” genera attenzione e fiducia
Quando un contenuto è costruito con attenzione vera, si sente.
Si percepisce che non è una replica, che non segue una checklist, che non parla a tutti, ma parla bene a chi deve ascoltare.
E questo, nel tempo, genera un effetto accumulo di attenzione e fiducia. Che si traduce in relazione, preferenza, crescita.

Conclusione: la differenza si vede (se c’è qualcuno a farla)
Se oggi tutto sembra già visto, non è perché mancano gli strumenti.
È perché manca chi li usa con una direzione chiara, un pensiero forte, una sensibilità vera.
Sorpresa: noi, in Larin, facciamo proprio questo.
Siamo un ecosistema che unisce marketing, creatività e tecnologia per costruire sistemi su misura che funzionano davvero.
Non consegniamo “idee brillanti”. Costruiamo identità forti, contenuti pensati bene, campagne che non si possono replicare con un prompt.
Usiamo pure l’AI, certo. Ma ci mettiamo sempre la testa. E la mano.
Se stai cercando qualcuno che sappia unire metodo e istinto, rigore e libertà, tecnologia e artigianato, per creare qualcosa che funzioni, e che si noti, noi ci siamo.
