Chi di noi non ha mai comprato un prodotto consigliato (o meglio, sponsorizzato dietro compenso) da un influencer? Dagli oggetti probabilmente inutili di uso quotidiano ai trucchi e parrucchi, dai portachiavi-spada alle lampade a forma di papera, dai pandori alle uova di pasqua, fino alle bambole Trudi in edizione speciale (😈)… gli esempi sono infiniti.
Indipendentemente dal fatto che tutto questo venga sponsorizzato da un piccolo creator o dal mega influencer galattico di turno, l’influencer marketing è da tempo uno strumento estremamente efficace in mano ai brand, potenziato ulteriormente dalla facilità con cui alcuni contenuti diventano virali in poco tempo: ne è un esempio il trend #tiktokmademebuyit (tradotto: Tik Tok me l’ha fatto comprare), nel quale i creator mostrano (e sponsorizzano) prodotti (spesso decisamente inutili) acquistati proprio grazie a video visti sulla piattaforma.
Parallelamente a questo fenomeno, tuttavia, ne sta fiorendo uno totalmente all’opposto. Una specie di antieroe che, come nel migliore dei racconti, si sta rivelando più interessante e potente del protagonista principale: sto parlando del de-influencing.
Di cosa si tratta?
Te lo spiego, ma prima come sempre…
Connetti ‘sti puntini!
Che cos’è il de-influencing
Il de-influencing, che in italiano potremmo tradurre come de-influenzare (come sempre aiuto che roba è in italiano), consiste nello sconsigliare un determinato servizio o prodotto al proprio pubblico, mostrando allo stesso tempo soluzioni e alternative migliori: ad esempio, il de-influencer potrebbe suggerire qualcosa di più sostenibile, più economico oppure più funzionale rispetto a quanto suggerito dai trend tiktokkiani.
De-influencing: i motivi per cui è nato
Partito “ufficialmente” dal mondo del beauty-care, con esempi italiani presto diventati virali (vedi Clio Makeup e la sua rubrica dedicata), il fenomeno si sta pian piano espandendo a molti altri settori e nicchie.
Ma cosa ha dato origine a questo vero e proprio movimento?
Innanzitutto, un primo motivo è legato all’incremento spropositato delle attività di influencer marketing: le sponsorizzazioni da parte degli influencer non hanno mai smesso di crescere e i loro follower, bombardati giorno per giorno con consigli d’acquisto spesso poco trasparenti, hanno iniziato a diventare meno sensibili ai contenuti proposti; e, di conseguenza, hanno cominciato a perdere fiducia e a essere sempre più insoddisfatti nei confronti dei creator che seguono e di ciò che questi ultimi propongono.
Un altro motivo è connesso a questioni più “nobili”: consci che in molti prendono per oro colato ciò che viene proposto dagli influencer, i creator hanno trovato un modo per “sbugiardare” (come si dice in gergo) la bontà di questi consigli, proponendo appunto soluzioni migliori e (almeno in teoria) senza ricevere alcuna compensazione; si tratta, in sostanza, di una questione morale, che porta il creator a diventare quell’antieroe.
A questo aspetto si può legare una terza, ma non per questo meno importante, motivazione: la sempre maggiore volontà (in particolare delle giovani generazioni) di combattere contro lo spreco, il consumismo e la disinformazione, nonché la loro vicinanza a temi sociali e di sostenibilità ambientale; e il de–influencing, con le sue recensioni totalmente sincere, il rifiuto di collaborare con brand non in linea con i propri principi e il consigliare prodotti e servizi “adatti” rappresenta la soluzione ideale.
Gli obiettivi del de-influencing
A questo punto, visti i motivi per cui è nato il fenomeno, non ci resta che riassumere gli obiettivi del de-influencing:
- Promuovere una cultura meno materialista e meno consumistica della società, spingendo le persone a volere (e acquistare) solo ciò di cui hanno bisogno ed eliminando il trend di acquisto compulsivo di ogni novità.
- Portare quanti più utenti possibili a sviluppare il proprio pensiero critico, incoraggiandoli a ragionare sulle caratteristiche dei prodotti, sulle loro funzionalità e sulle possibili alternative già a disposizione in commercio.
- Mostrare e far prendere coscienza del lato oscuro degli influencer, recensendo in modo trasparente i prodotti proposti e allontanandosi dalle logiche dell’influencer marketing.
- Mettere in luce l’impatto delle scelte d’acquisto sull’ambiente, cercando di ridurne l’impatto e incentivando decisioni che riducono l’inquinamento, la produzione dei rifiuti, lo spostamento della merce e altro ancora.
L’influencer marketing ha i giorni contatti?
Il trend del de-influencing è certamente in espansione e ricorda altre rivoluzioni “partite dal basso”, prima fra tutte il fenomeno dei micro-influencer… ma per ora ha lo stesso effetto di un sassolino gettato in mare.
La risposta alla domanda del titolo è chiara: come direbbe il buon Mac, “Non penso proprioh”; ciononostante non tutto è perduto e, anzi, il de-influencing potrebbe comunque portare con sé una serie di cambiamenti molto interessanti.
Innanzitutto i brand inizieranno probabilmente a scegliere i propri ambassador in modo diverso, selezionando quelli con una comunicazione trasparente e franca (magari non ai livelli di Franchino il Criminale, ecco).
In più, molti influencer (in particolare quelli medio-piccoli) potrebbero cambiare modus operandi, optando per una comunicazione sincera e scegliendo di sponsorizzare soltanto prodotti che loro stessi comprerebbero e/o in linea con i loro principi.
Qualunque cosa succeda, la parola d’ordine rimarrà comunque una: engagement.
E secondo te, cosa succederà? Il de-influencing sarà un fenomeno passeggero o un vero e proprio punto di svolta per l’influencer marketing?